Questo è il racconto della conquista della mia prima cima di un certo rilievo: il Carè Alto, a quota 3.465 metri, una delle montagne più imponenti del gruppo Adamello-Presanella. Ero stata al Rifugio Carè Alto lo scorso luglio ed avevo apprezzato sia il luogo – un po’ impervio, ma affascinante – che la nuova gestione di Gianni Mittempergher. Ne ho scritto in questo articolo.
Chiacchierando con lui gli era uscita questa frase: “Dovresti andare sulla cima, è una grande emozione… ce la fai”. Così quest’anno, che mi sentivo particolarmente in forma e pronta, ho deciso di tornare e di mettermi alla prova. La vita mi ha risposto con delle condizioni perfette: ottima compagnia e meteo spettacolare. Siamo saliti al rifugio nel pomeriggio: dal parcheggio della Val di Borzago, in Val Rendena, 1200 metri di dislivello fattibili in due ore e mezza circa. Tra l’altro, il rifugio si vede dal parcheggio e il mio commento interiore è stato ancora una volta: “Ma chi me lo fa fare!”. Però poi ripenso sempre a quanto sono contenta e allora parto!
E così è stato quando ho visto lassù, davanti a noi, le Dolomiti di Brenta illuminate dal sole fino a tarda ora.
Una cenetta deliziosa, con canederli in brodo, arrosto con patate al forno e torta tenerina (tutto squisito) e a dormire presto, che la giornata successiva sarebbe stata molto lunga!
Sveglia alle 3.45 e appena siamo usciti dalla porta del Rifugio Carè Alto ecco quello che hanno visto i nostri occhi:
E che emozione l’arrivo del sole!
Carè Alto: verso la cima
Per salire abbiamo scelto la direttissima, la Cerana: la più veloce e anche la più affascinante, a detta di molti. Di sicuro la più variegata, di certo in questa ascesa non ci si annoia! Qui non troverete spiegazioni tecniche (per questo ci sono i rifugisti e le guide), ma il mio racconto di quella che per me è stata una giornata indimenticabile.
L’avvicinamento per cominciare ad arrampicare è di circa due ore. Si comincia sul sentiero che parte dal rifugio e poi si prosegue calpestando le prime lingue di neve. Appena ha cominciato ad essercene abbastanza, nella Vedretta di Conca, abbiamo indossato i ramponi e la picozza. Ed ecco l’attacco della via, segnata da un grosso bollo rosso sulla roccia.
Una prima parte di arrampicata, con qualche tratto esposto, ed ecco la bocca del Cannone (2827 metri). Il percorso è stato recentemente riattrezzato dalle guide alpine, con chiodi e qualche cordone. Il luogo prende il nome dal cannone della Prima Guerra Mondiale che è stato ritrovato e lasciato lì a testimonianza di una delle pagine più buie della storia moderna.
Ed eccola là la croce, sempre più vicina. Io ero concentrata sul percorso e non mi sono resa conto di quanto fosse ormai a portata di mano. Ma, come dice chi in montagna ci va sempre, la cime la porti a casa quando sei tornata alla macchina.
Questo l’ultimo tratto dell’ascesa, prima sulla neve ed infine su roccia. La vetta si raggiunge per una paretina con una bella fessura che facilita il passaggio.
Concedetemi questa foto in posa, che non so se mi capiterà un’altra volta di salire quassù!
Siamo stati lì accanto alla croce per un’oretta. Abbiamo mangiato un bel panino con lo speck, per riprendere un po’ le energie, e poi abbiamo contemplato a lungo il panorama attorno a noi, compreso il lago di Bissinia e la Val di Fumo qui alle mie spalle. Condizioni meteo eccezionali: caldo, tanto da rimanere lassù con le maniche corte alle 10 del mattino; zero vento e visibilità perfetta perchè il cielo era terso e con rare nuvole.
Siamo scesi per la via normale, sulla cresta nord-ovest e poi percorrendo il ghiacciaio. La prima parte ancora in cresta, poi un passaggio esposto per aggirare uno spigolo e calata in corda di una trentina di metri sulla neve. Ancora un’oretta di traversata sul ghiacciaio e poi un paio d’ore per tornare al rifugio. Impegnativo il rientro alla macchina, con un dislivello negativo di 2400 metri circa, oltre a quelli percorsi al mattino!
Importante: non avventuratevi qui se non avete con voi qualcuno di esperto, che sappia orientarsi, ma soprattutto usare l’attrezzatura necessaria: corda da 60 metri, ramponi, piccozza e caschetto. Potete sempre chiedere a Gianni del Rifugio Carè Alto un contatto per prenotare un’uscita con una guida alpina, la migliore scelta possibile per vivere questa esperienza in serenità e sicurezza.
Commento finale: è stata un’esperienza faticosa, ma bellissima, che porterò sempre nella mia mente e nel mio cuore. Per me funziona sempre meglio non sapere cosa mi aspetta: avessi saputo di certi passaggi forse non sarei salita. Invece, mantenendo alta la concentrazione e seguendo passo a passo chi mi indicava la via, sono andata avanti tranquilla e serena.
La prossima avventura? Chi lo sa… la lista dei posti belli in Trentino Alto Adige continua ad allungarsi!
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